19 aprile 2011

Il senso della vista: una panoramica a 360 gradi

Il processo visivo ci consente un'immagine tridimensionale del mondo esterno, ci permette di cogliere le sfumature di colore, il movimento di un oggetto o la sua stessa funzione; il tutto, con un semplice sguardo.
Questo incredibile processo è reso possibile grazie alla ricezione degli stimoli luminosi. Ogni oggetto colpito dalla luce, infatti, è in grado di rifletterla ed i nostri occhi  colgono questa informazione che verrà poi trasmessa al cervello; come conseguenza, in totale assenza di luce, i nostri occhi non sono in grado di vedere.

Dato che la nostra capacità di vedere dipende innanzitutto dalla presenza di luce, iniziamo questo affascinante viaggio alla scoperta del fenomeno visivo, partendo dalla fisica: cerchiamo, in primo luogo, di capire qual'è la natura della luce.


FISICA: la natura della luce

Per molti secoli gli scienziati hanno studiato la natura della luce. Nel XVII secolo Isaac Newton pensava che la luce fosse un flusso di particelle (i fotoni), mentre Christiaan Huygens, uno scienziato olandese, riteneva che la luce fosse fatta di onde elettromagnetiche. Avevano ragione entrambi: la luce a volte si comporta come un flusso di particelle, a volte come un’onda; dipende dal tipo di fenomeno che stiamo osservando.

Se una particella è di semplice immaginazione, un'onda elettromagnetica è sicuramente più complessa.
Bisogna tenere presente che esistono tanti tipi di onde elettromagnetiche, ciascuna caratterizzata da una propria lunghezza d’onda. La lunghezza d’onda è la distanza tra una cresta e la successiva.
La lunghezza d'onda è la distanza tra due creste. Immagine è tratta da Wikimedia.


Spectre
L'immagine è tratta da Wikimedia; cliccando qui potete accedere alla voce relativa allo spettro elettromagnetico. L'immagine originale è cliccabile... Cliccando sulle corrispondenti immagini, infatti, è possibile accedere alle pagine su: raggi gamma, raggi X, ultravioletti, luce visibile, infrarosso e onde radio... Davvero ben fatta!

Nella luce bianca del sole ci sono tante onde di lunghezza d’onda diverse: ognuna è di un colore differente e la loro sovrapposizione dà l’effetto della luce bianca.
Le foglie ci appaiono verdi perché, quando vengono colpite dalla luce bianca, riflettono solo la componente verde ed assorbono gli altri colori. Una mela è rossa perché assorbe tutti i colori tranne il rosso. La neve è bianca perché riflette in egual misura tutti i colori dello spettro... L'inchiostro della penna è nero perché ha la proprietà di assorbire tutti i raggi luminosi.

Ora, che abbiamo chiarito cos'è la luce, possiamo passare dalla fisica alla biologia: vediamo insieme come funziona l'occhio ed il lungo percorso della luce che, trasformata in impulso nervoso, diventa comprensibile al nostro cervello!


BIOLOGIA: l'anatomia dell'occhio ed il meccanismo della visione

Gli occhi sono organi molto delicati: per questo motivo, al loro esterno, troviamo le palpebre e le ciglia che impediscono l'ingresso di corpi estranei e difendono l'occhio dalla luminosità eccessiva.
Il battito delle palpebre, inoltre, mantiene umida la congiuntiva, ovvero la superficie dell'occhio a contatto con l'esterno.
La parte anteriore del globo oculare sporge leggermente ed è costituita dalla cornea, una membrana trasparente dietro la quale troviamo l'iride, l'area colorata dell'occhio, contenente muscolatura liscia.
Il suo compito è quello di regolare la quantità di luce che entra nell'occhio: se c'è molta luce l'iride si restringe; se ce n'è poca, l'iride si allarga.
La zona nera al centro dell'iride, invece, è la pupilla, il foro attraverso il quale passa la luce. In questo modo la luce raggiunge la lente dell'occhio: il cristallino che convoglia le immagini sulla retina.
Il globo oculare non è vuoto: l'umor acqueo è un liquido che si trova tra il cristallino e la cornea; l'umor vitreo è, invece, una sostanza gelatinosa che si trova nella zona compresa tra il cristallino e la retina.
Quest'ultima è formata da uno stato di cellule molto particolari chiamate fotorecettori, sensibili alla luce e ai colori.

Ente fornitore dell`immagine: INDIRE-Patrimonio librario    Creative Commons: attribuzione-non commerciale-condividi allo stesso modo 2.5 Italia
Sito web www.indire.it

I recettori della retina sono di due diverse tipologie: i coni ed i bastoncelli. I coni entrano in funzione in condizioni di buona luminosità (visione fotopica) e ci permettono di distinguere i colori; sono in grado di percepire i dettagli più fini e i cambiamenti più rapidi in un'immagine visiva perché i loro tempi di risposta agli stimoli sono più veloci.
I bastoncelli, invece, non sono sensibili ai colori ma sono fondamentali perché ci consentono di distinguere ciò che ci circonda anche in condizioni di scarsa luminosità (visione isotopica).

Vi propongo due immagini, molto ingrandite, della struttura dei fotorecettori.


L'immagine rappresenta i coni (in verde) e i bastoncelli (in rosa); è tratta dal sito http://lolatbio.wikispaces.com dove potete trovare una bella e approfondita trattazione dell'occhio in lingua inglese.
I cono ed i bastoncelli sono cellule molto speciali dalla forma piuttosto allungata, che contengono dei pigmenti indispensabili per la visione, come vedremo tra poco.
Ciascun fotorecettore è organizzato in tre settori:
  • Un segmento esterno con i dischi, su cui sono posizionati i pigmenti che reagiscono allo stimolo dei fotoni.
  • Un segmento interno: con gli organelli, strutture specializzate indispensabili al fotorecettore per produrre proteine ed energia.
  • La terminazione sinaptica: permette la trasformazione del segnale luminoso in un impulso nervoso, comprensibile al nostro cervello.
    I fotorecettori si trovano nello strato più esterno della retina; lo strato intermedio è formato da numerosi neuroni e quello più interno da fibre nervose: queste, riunendosi tutte insieme, formano il nervo ottico. La zona di convergenza è nota come punto cieco dell'occhio: è una zona dell'occhio priva di fotorecettori, dove nasce il nervo ottico. Le immagini che cadono  in questa zona non possono essere percepite.  


    Per rendersi conto di quanto ho appena descritto, basta un semplice test: posizionatevi a circa 25-30 cm dal monitor; chiudete l'occhio sinistro e fissate la croce con l'occhio destro... In questo modo il pallino nero scompare!  Cade, infatti, nel punto cieco dell'occhio: il cervello cerca di riempire lo spazio vuoto con lo sfondo più probabile, ovvero uno sfondo bianco!


    Immagine per individuare il punto cieco dell'occhio. Immagine è tratta da Wikimedia.

    Sulla retina si forma un'immagine rimpicciolita e capovolta: il compito dei fotorecettori è trasformare uno stimolo visivo in un impulso nervoso, che il nostro cervello utilizza per "vedere" il mondo che ci circonda.

    Il nervo ottico di destra e quello dell'occhio sinistro si incontrano in una zona del cervello chiamata chiasma ottico: a questo livello, una parte delle fibre dei nervi ottici si incrociano tra loro. Superato il chiasma, gli impulsi nervosi raggiungono una zona del cervello chiamata corpo genicolato laterale: qui  avviene una prima elaborazione che contribuisce, ad esempio, alla percezione del movimento e dei colori. La via che conduce gli impulsi nervosi dal chiasma al corpo genicolato laterale prende il nome di tratto ottico.

    L'immagine è tratta dal sito dell'Associazione Nazionale degli Insegnanti di Scienze Naturali,
    dove trovate anche un ipertesto sulla visione.
    L'elaborazione finale avviene nella corteccia visiva, situata nel lobo occipitale: essa è organizzata in strati, ciascuno con un un ruolo preciso; nel suo insieme, consente di riunire tutte le informazioni riguardanti un oggetto ed rielaborarle per  averne una visione complessiva. 


    Gray728
    Il lobo occipitale è quello che elabora l'informazione visiva. Immagine è tratta da Wikimedia.

    Immaginiamo di osservare un libro: il colore della copertina, le sue dimensioni e la sua forma vengono percepite come informazioni separate a livello della retina, ma vengono poi riunite insieme per restituirci l'immagine del libro a livello della corteccia visiva primaria.

    Altre zone, legate alla corteccia visiva primaria e note come aree associative ci permettono di comprendere la funzione di un oggetto noto semplicemente osservandolo: è grazie a queste aree che riconosciamo il significato di una parola, una persona cara o a cosa serve un oggetto.

    Il viaggio affascinante che la luce, trasformata in impulso nervoso, compie dall'occhio fino al cervello, non sarebbe possibile senza i fotorecettori: vediamo, dunque, di capire meglio come funzionano e qual'è il ruolo dei pigmenti in essi contenuti.



    CHIMICA: le porpore visive dei coni e dei bastoncelli 

    Una caratteristica peculiare dei fotorecettori è la presenza al loro interno di fotopigmenti (chiamati anche porpore visive). 

    La rodopsina è una proteina che si trova nel segmento esterno dei bastoncelli; è provvista di sette eliche che attraversano la membrana del fotorecettore.

    Rodopsina. Immagine è tratta da Wikimedia.
    La rodopsina è una proteina coniugata, ovvero formata da due componenti: l'opsina ed il retinale, un derivato della vitamina A. È molto importante assumere questa vitamina attraverso una corretta alimentazione: una sua carenza è causa di disturbi visivi, come la scarsa visione in penombra. La vitamina A è presente negli alimenti di origine animale: fegato, latte, derivati del latte e uova; ne sono particolarmente ricchi anche i vegetali di colorazione giallo / arancione e quelli a foglia.

    Retinale. Immagine è tratta da Wikimedia.

    All-trans-Retinol2
    Vitamina A. Immagine è tratta da Wikimedia.

    Quando un fotone colpisce la rodopsina, la proteina si scinde in opsina e retinale; in questo modo, si attiva una cascata di reazioni chimiche e  si generano gli impulsi nervosi indispensabili al cervello per comprendere ed elaborare l'immagine visiva.

    La scissione della rodopsina è un processo reversibile; al buio, infatti, avviene spontaneamente il processo opposto: a partire dall'opsina e dal retinale, viene, infatti, sintetizzata la rodopsina.


    Nei coni, al posto della rodopsina, troviamo tre diversi pigmenti. Esistono, dunque, tre tipi di coni, ciascuno dei quali contiene uno specifico pigmento ed è particolarmente sensibile ad una diversa lunghezza d'onda dello spettro visibile.

    I tre tipi di coni presenti nella retina rispondono alle radiazioni luminose di lunghezza d'onda corte, intermedie e lunghe.
    • I coni sensibili alle lunghezze d'onda corte contribuiscono alla percezione del blu.
    • I coni sensibili alle lunghezze d'onda intermedie contribuiscono alla percezione del verde.
    • I coni sensibili alle lunghezze d'onda lunghe contribuiscono alla percezione del rosso.
    Le tre tipologie di coni sono sensibili a tre diverse lunghezze d'onda. Immagine è tratta da Wikimedia.

    I fotopigmenti dei coni differiscono dalla rodopsina nella parte proteica, che viene chiamata fotopsina
    Anche nei coni, per effetto della luce, si verifica la scissione della porpora visiva in retinale ed fotopsina e, nel buio, la risintesi della molecola di foto-pigmento.  


    GENETICA: il daltonismo e la visione dei colori
      
    Concludo questo post sul senso della vista parlandovi di una malattia genetica legata alla percezione dei colori: il daltonismo.
    Le persone daltoniche hanno un'alterata la percezione dei colori. che può manifestarsi in forma parziale o completa, con l'incapacità di distinguere il rosso, il verde, il blu o il giallo.
    Il nome della malattia deriva dal chimico inglese John Dalton che alla fine del Settecento, descrisse per primo la patologia, della quale era affetto.
    Il daltonismo è una malattia genetica legata al cromosoma X; colpisce prevalentemente soggetti di sesso maschile: le donne, infatti, hanno due cromosomi X ed è molto infrequente che l'alterazione lì colpisca entrambi. Gli uomini, invece, hanno un unico cromosoma X e, se l'alterazione è presente, si manifesta anche la malattia. Un uomo trasmette il gene mutato a tutte le figlie femmine, che saranno portatrici sane della malattia. 
    Il daltonismo compare nelle donne esclusivamente quando il cromosoma difettoso è trasmesso dal padre e anche dalla madre, portatrice sana del daltonismo.


    Vediamo lo stesso concetto espresso con delle tabelle.

    Un uomo daltonico  (XY) trasmette il cromosoma X con la malattia a tutte le figlie femmine (XX). Le figlie femmine di un uomo daltonico saranno, dunque, portatrici sane di daltonismo. Queste non manifesteranno mai la malattia ma potranno trasmetterla ai loro figli.


    X
    Y
    X
    XX
    XY
    X
    XX
    XY

    Una donna portatrice sana di daltonismo (XX), ad ogni concepimento, avrà il 50% di possibilità di trasmettere il cromosoma sano (X) o quello malato (X). Di conseguenza: 
    • Se nasce un figlio maschio avrà il 50% di possibilità di essere daltonico.
    • Se nasce una figlia femmina avrà il 50% di possibilità di essere portatrice sana di daltonismo.


    X
    Y
    X
    XX
    XY
    X
    XX
    XY

    Infine, una donna portatrice sana di daltonismo (XX) ed un uomo daltonico, (XY) ad ogni concepimento, avranno:
    • Il 25% di possibilità di avere un figlio maschio non affetto dalla malattia (XY).
    • Il 25% di possibilità di avere un figlio maschio daltonico (XY).
    • Il 25% di possibilità di avere una figlia femmina portatrice sana (XX).
    • Il 25% di possibilità di avere una figlia  femmina daltonica (XX).

    X
    Y
    X
    XX
    XY
    X
    XX
    XY


    Questo post partecipa al quarto carnevale della chimica dal tema "la chimica dei sensi" ospitato da Emanuela Zerbinatti sul suo blog Arte e Salute.

    Tania Tanfoglio




    Bibliografia

    Eric Kandel. Fondamenti delle Neuroscienze e del comportamento, Casa Editrice Ambrosiana, 1999.

    Casella C., Taglietti V. Principi di fisiologia - Volume 2, La Goliardica Pavese, 2001.